Tic, tic, tic, Fritzolsen lavorava alla sua opera e sapeva in cuor suo che le cose sarebbero potute andar meglio, molto meglio. Quanti dubbi, quante incertezze, però...tic, tic, tic.
E non lavorava da solo intendiamoci, c’erano tanti altri compagni. Soprattutto c’era il maestro d’ascia, quello che ad un certo punto, se non lo fermavi, parlava in continuazione per ore e ore raccontandoti tutti gli aneddoti degli ultimi dieci anni. Però era anche quello che le cose le sapeva e quando uno sa le cose non devi far altro che ascoltarlo e seguirlo.
E poi c’erano quelli con i gomiti usurati dall’appoggio sulla staccionata, quelli che facevano le domande sarcastiche pensando di sapere già la risposta, quelli che la sapevano sempre più lunga, anche dei maestri d’ascia.
Tic, tic, tic...
Successe così che in un bel giorno di primavera l’opera venne completata.
Nella radura, non lontano da Morosinfjord, si poteva ora ammirare la più bella e spaziosa cuccia da cane vichingo di tutta la costa. Aveva delle travi in larice di un color rosso intenso così come tutte le pareti.
Il legno era talmente profumato che, chiudendo gli occhi, sembrava quasi di essere in mezzo ad una foresta. Sul tetto aveva voluto metterci un’apertura in modo che nelle notti terse potesse ammirare le stelle, chiudere gli occhi e addormentarsi felice e sereno, non prima però di aver letto la frase che aveva voluto incidere sull'architrave della sua cuccia: "FRITZOLSEN, IL CANE SENZA GOMITI".
Tic, tic, tic…